La recensione di Antica Pizzeria da Leone
La recensione di Antica Pizzeria da LeoneAssaggi
Pizza, pizza e ancora pizza, a Milano non si parla altro. E a dominare è la vera pizza napoletana, o la più modaiola pizza gourmet, con qualche modello ibrido in mezzo.
Non si parla abbastanza dell’Antica Pizzeria da Leone, insediatasi nel milanese nel 2015 in via Ravizza da una famiglia di ristoratori partenopei, pizzaioli dal 1922, oggi alla quarta generazione. Suona davvero strano quanto poco sia al centro della scena nonostante l’evidente longevità; un fattore dovuto forse alla gestione social inesistente, ma più probabilmente a un vicino di casa come Lievità, situato esattamente al civico successivo, pizzeria tra le più rinomate e apprezzate di Milano (della quale già avevamo parlato), la cui fama rischia di offuscare l’adiacente concorrenza.
Un vero peccato, perché Leone ha tutti gli attributi per essere annoverata tra le migliori realtà del capoluogo.
Un ambiente curato, forse a tratti un po’ “vecchiotto”, con pareti chiare adibite da citazioni e consigli sulla buona pizza, ampie scaffalature con gli ingredienti e gli stipiti di un bel rosso vivo sulla parte esteriore della cucina a vista; cucina dedicata alla preparazione dei piatti freschi, antipasti o fritti, e che è separata dal forno a legna, situato in prossimità dell’entrata a fianco del bancone per la stesura e il condimento delle pizze, e che richiama lo stesso rosso intenso.
I numerosi tavoli in legno presentano una bottiglia di passata di pomodoro come centro tavola, e bastano a occhio per circa 80 coperti. Il servizio è rapido e cordiale, e non manca di dare qualche utile consiglio per facilitare la scelta, o di offrire un ottimo amaro, una macedonia o una pizza in occasione di un compleanno.
Menu relativamente ampio e suddiviso in sezioni, ognuna delle quali introdotta da una postilla che ne anticipa le peculiarità; così troviamo il Cuoppo dedicato alle fritture tradizionali servite in un cono di carta pane, i piatti di mozzarella di Bufala D.O.P. con prodotti freschi e ricette classiche, le pizze con farina, acqua, olio, sale e lievito madre lasciate maturare per più di dieci ore, i pagnottelli e le insalate.
L’offerta è relativamente ampia, e comprende le pizze Secondo tradizione (Margherita, Marinara, Bufalina e compagnia filante), le Nuova storia, ideate dallo staff e le Pizze fritte, cotte in olio di arachidi, con prezzi che vanno dai 6-7 euro per le pizze più semplici ai 12 delle voci più ricercate. Da segnalare è la cosiddetta Specialità unica, la Donna Assunta, con ricotta di bufala, salsa di pomodoro, provola e salame, ripiena, fritta e poi passata in forno ad asciugare.
Noi, per il consueto test di prima visita, ci siamo buttati senza indugi su una Margherita, la regina delle pizze, ed indiscutibile metro di paragone per un giudizio universale.
Basta buttare un occhio al piano di lavoro in marmo per avere chiara visione del metodo di stesura, napoletano in tutto e per tutto: le pizze vengono leggermente allargate “a schiaffo”, condite, trascinate sulla pala e lì aperte maggiormente prima di essere infornate.
Il risultato è senz’altro bello da vedere, una “taglia M” come si suol dire, con il cornicione rigonfio, il fior di latte di Agerola colorito ma senza perdere la sua eccezionale cremosità, il basilico leggermente appassito ma ancora fresco e “pieno”.
L’impatto è ottimo, da annoverare tra le scoperte e le visite obbligate: cottura uniforme e senza eccessi di bruciatura, che garantisce la morbidezza tipica napoletana, ma con una superficie quasi croccante, un effetto comunque piacevole (tranquilli, il biscotto è lontano anni luce) e indice forse di una temperatura del forno tenuta di poco più bassa.
Qualche difettuccio comunque se lo tira dietro. Quella di Leone è senz’altro una pizza preparata come da antica tradizione partenopea, con impasto diretto, lievito madre (di cui mai capirò il senso sulle tonde) e una sapidità spinta atta a regolarizzare il riposo delle già citate 10 ore a temperatura ambiente. Il risultato è un prodotto comunque leggero che non si fatica a finire, ma che diventa gommoso dopo qualche minuto di raffreddamento, ad indicare che il probabile utilizzo di farine bianche di forza medio-bassa scongiura il pericolo sete, ma non basta ad aumentare la shelf-life della pizza, peculiarità di una ben più lunga maturazione.
Ne è ulteriore testimonianza un cornicione sì rigonfio ma pieno di pasta, indice di un’alveolatura non proprio sviluppata.
Se avete spazio, per i dolci è necessario farsi consigliare direttamente dal personale, presentati su un vassoio per avere un diretto riscontro con quanto ordinabile; il capitolo bevande comprende le classiche analcoliche, nessuna birra artigianale tra le quattro in bottiglia e l’unica alla spina, e una dozzina di vini tra rossi e bianchi. Discreta in ultimo la scelta di amari, compreso un ottimo limoncello della casa.
Da segnalare inoltre la presenza di un menu del giorno a pranzo all’ottimo prezzo di 9.5 euro.
Non si parla abbastanza dell’Antica Pizzeria da Leone, insediatasi nel milanese nel 2015 in via Ravizza da una famiglia di ristoratori partenopei, pizzaioli dal 1922, oggi alla quarta generazione. Suona davvero strano quanto poco sia al centro della scena nonostante l’evidente longevità; un fattore dovuto forse alla gestione social inesistente, ma più probabilmente a un vicino di casa come Lievità, situato esattamente al civico successivo, pizzeria tra le più rinomate e apprezzate di Milano (della quale già avevamo parlato), la cui fama rischia di offuscare l’adiacente concorrenza.
Un vero peccato, perché Leone ha tutti gli attributi per essere annoverata tra le migliori realtà del capoluogo.
Un ambiente curato, forse a tratti un po’ “vecchiotto”, con pareti chiare adibite da citazioni e consigli sulla buona pizza, ampie scaffalature con gli ingredienti e gli stipiti di un bel rosso vivo sulla parte esteriore della cucina a vista; cucina dedicata alla preparazione dei piatti freschi, antipasti o fritti, e che è separata dal forno a legna, situato in prossimità dell’entrata a fianco del bancone per la stesura e il condimento delle pizze, e che richiama lo stesso rosso intenso.
I numerosi tavoli in legno presentano una bottiglia di passata di pomodoro come centro tavola, e bastano a occhio per circa 80 coperti. Il servizio è rapido e cordiale, e non manca di dare qualche utile consiglio per facilitare la scelta, o di offrire un ottimo amaro, una macedonia o una pizza in occasione di un compleanno.
Menu relativamente ampio e suddiviso in sezioni, ognuna delle quali introdotta da una postilla che ne anticipa le peculiarità; così troviamo il Cuoppo dedicato alle fritture tradizionali servite in un cono di carta pane, i piatti di mozzarella di Bufala D.O.P. con prodotti freschi e ricette classiche, le pizze con farina, acqua, olio, sale e lievito madre lasciate maturare per più di dieci ore, i pagnottelli e le insalate.
L’offerta è relativamente ampia, e comprende le pizze Secondo tradizione (Margherita, Marinara, Bufalina e compagnia filante), le Nuova storia, ideate dallo staff e le Pizze fritte, cotte in olio di arachidi, con prezzi che vanno dai 6-7 euro per le pizze più semplici ai 12 delle voci più ricercate. Da segnalare è la cosiddetta Specialità unica, la Donna Assunta, con ricotta di bufala, salsa di pomodoro, provola e salame, ripiena, fritta e poi passata in forno ad asciugare.
Noi, per il consueto test di prima visita, ci siamo buttati senza indugi su una Margherita, la regina delle pizze, ed indiscutibile metro di paragone per un giudizio universale.
Basta buttare un occhio al piano di lavoro in marmo per avere chiara visione del metodo di stesura, napoletano in tutto e per tutto: le pizze vengono leggermente allargate “a schiaffo”, condite, trascinate sulla pala e lì aperte maggiormente prima di essere infornate.
Il risultato è senz’altro bello da vedere, una “taglia M” come si suol dire, con il cornicione rigonfio, il fior di latte di Agerola colorito ma senza perdere la sua eccezionale cremosità, il basilico leggermente appassito ma ancora fresco e “pieno”.
L’impatto è ottimo, da annoverare tra le scoperte e le visite obbligate: cottura uniforme e senza eccessi di bruciatura, che garantisce la morbidezza tipica napoletana, ma con una superficie quasi croccante, un effetto comunque piacevole (tranquilli, il biscotto è lontano anni luce) e indice forse di una temperatura del forno tenuta di poco più bassa.
Qualche difettuccio comunque se lo tira dietro. Quella di Leone è senz’altro una pizza preparata come da antica tradizione partenopea, con impasto diretto, lievito madre (di cui mai capirò il senso sulle tonde) e una sapidità spinta atta a regolarizzare il riposo delle già citate 10 ore a temperatura ambiente. Il risultato è un prodotto comunque leggero che non si fatica a finire, ma che diventa gommoso dopo qualche minuto di raffreddamento, ad indicare che il probabile utilizzo di farine bianche di forza medio-bassa scongiura il pericolo sete, ma non basta ad aumentare la shelf-life della pizza, peculiarità di una ben più lunga maturazione.
Ne è ulteriore testimonianza un cornicione sì rigonfio ma pieno di pasta, indice di un’alveolatura non proprio sviluppata.
Se avete spazio, per i dolci è necessario farsi consigliare direttamente dal personale, presentati su un vassoio per avere un diretto riscontro con quanto ordinabile; il capitolo bevande comprende le classiche analcoliche, nessuna birra artigianale tra le quattro in bottiglia e l’unica alla spina, e una dozzina di vini tra rossi e bianchi. Discreta in ultimo la scelta di amari, compreso un ottimo limoncello della casa.
Da segnalare inoltre la presenza di un menu del giorno a pranzo all’ottimo prezzo di 9.5 euro.
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