Anatolia fa ancora il miglior kebab di Milano?

Anatolia fa ancora il miglior kebab di Milano?
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Negli ultimi 10 anni il cibo e il discorso su questo ci hanno sommerso. Ma nessuna specialità ha visto un incremento di offerta come il kebab. Un trionfo annunciato e prevedibile per chiunque abbia passato qualche tempo a Berlino, Londra o Parigi a metà anni 90. Aperte le frontiere gastronomiche anche in Italia, la specialità turca, in versione street, ha preso piede grazie alle sue caratteristiche: economica, gustosa ed esotica.

Poi sono inziati i dolori, alcuni terrorismi eccessivi sugli ingredienti, l'offerta sconfinata nei quartieri ai margini delle città e l'affermarsi del concetto di kebab come junk food, da sbranare la notte all'ultimo stadio della fame chimica. Difficile distinguere, quasi impossibile categorizzare una specialità diventata un ibrido rispetto alla formula originale.

Oggi, a Milano, il kebab, rimane materia fumosa e poco categorizzabile, spinto tra il modello fast & junk e una nuova attenzione gourmet, in linea con le tendenze cittadine, mentre se si vuole assaggiare un ottimo kebab tradizionale i nomi che escono sono ancora gli stessi.



Il più ricorrente è sempre Anatolia, apprezzato trasversalmente (dalla democrazia spesso distorta di TripAdvisor, alle classifiche più specializzate) e portatore di un modello il più possibile artigianale, sempre più difficile da replicare a prezzi contenuti in una città come Milano. E che non costringa il passaggio in lavanderia, o in profumeria, dopo 10 minuti in loco.

Al suo fianco si sprecano pollici su per Meydan e Mekan (ma se ci fate altri nomi siamo qui in ascolto), mentre avanza qualche modello vagamente salutista (?) con carne di pollo e tacchino, o la variante greca che non ha mai trovato lo spazio che meriterebbe. Difficile invece accompagnarlo a un pane (arabo o la simil-piadina del durum kebab) che non renda l'esperienza digestiva piacevole come un karaoke in mondovisione.

La nuova tendenza pare essere la sua italianizzazione, ovvero un panino di carne (ma anche vegetale, secondo l'invasivo verbo vegano) con condimenti di alto livello, pane a lievitazione naturale, ambiente ricercato e tutto lo spettro del moderno gourmettismo. Per molti è un tradimento del concetto originale. Posizione legittima, però al netto del marketing e di una certa inevitabile retorica contemporanea, il palato e la digestione generalmente ringraziano.



A fare da apripista a questa new wave è stato NUN (sottotitolo Taste of Middle East), oasi felice in zona Porta Venezia che ha aggiornato il modello con risultati lodevoli, spingendo sulla customizzazione massima del panino, secondo un modello imperante di multicomposizione che spesso temo sopravvaluti le doti cognitive del mangiatore più goloso. Il successo è tangibile e sintetizzato dal recente ingrandimento del locale, con un design ancora più nella direzione di un moderno street food alla milanese, con tanto di birra sponsor.

Subito dopo è arrivato Mariù: autodefinitosi kebab gastronomico, pronto a farsi largo nell'affollato panorama gastronomico di Porta Romana, con un divertente sistema di prenotazione (ti danno una sveglia che somiglia al vecchio modem Telecom) e gustosi in­gredienti nostrani. Tipo le cime di rapa, lo squacquerone, le melanzane, la cipolla di Tropea. 

Ovviamente il fenomeno non è sfuggito a quelli di Eataly, che tra le loro proposte in loco hanno inserito il Kebabun, ovviamente con l'usuale carne di La granda. Il passaggio dalla versione street food unto e senza fronzoli a esperienza gourmet non è comunque ancora capillare come nel caso dell'hamburger, e appare piuttosto improbabile.

Non abbiamo risposto alla nostra domanda, sperando di affidarci a voi: Anatolia è ancora il miglior kebab di Milano? O meglio, è ancora il miglior kebab tradizionale di Milano?

Foto credit: Audrey Smith x Nun
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